La scelta del metodo e dell’intensità di lavorazione del terreno prima dell’impianto è connessa alle specifiche caratteristiche pedoclimatiche, alla tecnica di decespugliamento, al precedente uso del suolo e, non ultimo, alle finalità della piantagione.
Tenuto conto degli aspetti economici dell’intervento, da un punto di vista tecnico è importante assicurare un buon livello di attecchimento e un’accettabile produttività.
Nell’arboricoltura da legno e negli imboschimenti con finalità produttive, la scelta di tecniche intensive scaturisce da ragioni colturali e dall’esperienza maturata nei diversi ambienti.
Nel valutare la risposta produttiva delle diverse tecniche e delle modalità di lavorazione si registra, comunque, uno scarso accordo di vedute tra giudizi complessivi e risultati sperimentali. In queste valutazioni affiora, ad es., un conflitto tra i vantaggi per le fasi di impianto, attecchimento e primo periodo di sviluppo del soprassuolo, da un lato, ed i risultati produttivi legati al mantenimento della fertilità nel lungo termine, dall’altro.
Vantaggi e limiti delle più comuni tecniche di lavorazione
I vari metodi di lavorazione meccanizzata del terreno si differenziano per numerosi aspetti che, sinteticamente, si possono ricondurre sia alle caratteristiche proprie delle lavorazioni che a quelle specifiche delle macchine e degli attrezzi impiegati. Riguardo le caratteristiche possiamo distinguere:
a. Profonde o superficiali;
b. Andanti o localizzate;
c. A rittochino o secondo le curve di livello.
Le lavorazioni profonde riducono la densità del suolo e favoriscono la penetrazione delle radici aumentandone il loro sviluppo. Accrescono la microporosità del suolo favorendo la capacità di infiltrazione e di ritenzione idrica. Sebbene gli studi sulle lavorazioni profonde abbiano riguardato più gli effetti sul rapporto tra pianta e parametri fisici del suolo che quelli sul rapporto con i fattori chimici, si può comunque dire che l’ampliamento dell’apparato radicale e le migliori condizioni edafiche tendano ad esaltare sia l’assorbimento idrico che l’assimilazione di elementi nutritivi.
Generalmente, nel settore forestale, le deficienze nutritive si manifestano proprio quando esiste un impedimento all’estensione delle radici, poiché raramente le disponibilità di nutrienti nel suolo sono così basse da non rispondere adeguatamente alle esigenze dei semenzali. Nelle fasi iniziali di sviluppo delle piantine le condizioni del suolo che favoriscono lo sviluppo delle radici e il trasporto dell’acqua verso di esse sono più importanti del contenuto idrico totale del suolo.
L’aratura profonda, in particolare, sembra aver favorito in molti casi l’attecchimento dei semenzali attraverso un più rapido sviluppo iniziale degli apparati radicali e un più efficace contenimento della vegetazione concorrente.
In presenza di barriere fisiche, le radici tendono a concentrarsi nei primi centimetri di suolo dove in estate-autunno, soprattutto nelle annate particolarmente siccitose, possono essere soggette a forti stress idrici.
Qualora le lavorazioni non riescano a modificare sensibilmente le condizioni di densità del suolo, la creazione di nuove fessurazioni dovrebbe da sola favorire l’approfondimento e lo sviluppo degli apparati radicali; ciò non toglie che, qualora siano presenti altri fattori limitanti (es. di tipo nutritivo e idrico), non si manifestino risultati produttivi positivi. In stazioni con suoli poveri e superficiali, una lavorazione profonda e una dispersione della sostanza organica può causare delle perdite di fertilità che non hanno riscontro in stazioni con alta fertilità intrinseca.
Pur tuttavia l’aratura e la rippatura, seguite da altre lavorazioni superficiali, può migliorare alcune caratteristiche fisiche del suolo (porosità, densità, resistenza alla penetrazione, ecc.) e favorire lo sviluppo e l’approfondimento degli apparati radicali dei semenzali. Inoltre, la lavorazione aumenta l’areazione, la capacità di infiltrazione, la percolazione, la ritenzione idrica, la capacità di scambio cationico, l’attività di N-fissazione e lo sviluppo di ectomicorrize.
Un altro problema, già accennato nel caso del decespugliamento, riguarda l’opportunità o meno di estendere le lavorazioni andantemente su tutta la superficie o, piuttosto, di limitarle a particolari localizzazioni. Le lavorazioni localizzate, in genere, hanno offerto risultati di attecchimento, sviluppo e produttività inferiori rispetto alle lavorazioni intensive a tutto campo.
Rischi di degradazione del suolo causati dalle comuni tecniche di lavorazione
Un metodo di preparazione del suolo, diffusosi in passato in modo particolare nel Mezzogiorno, è consistito nello scasso profondo con aratro. L’aratura profonda ha fornito, in alcune situazioni, almeno nel primo periodo, risultati di attecchimento e di produttività migliori rispetto alla rippatura ed alle lavorazioni localizzate o più superficiali. Tali esperienze non sono sempre ed ovunque ripetibili e, spesso, si riscontrano situazioni esattamente opposte.
Infatti si deve comunque tener presente che con lo scasso viene spesso attuato il rovesciando della fetta di terreno di 110-120° causando il parziale seppellimento degli orizzonti organici e l’affioramento di materiale inerte. Gli orizzonti superficiali del suolo, dove si concentrano le radici attive per la nutrizione, sono così impoveriti dal punto di vista fisico e nutritivo.
Strategie per ridurre i rischi di degradazione del suolo
I rischi enunciati possono essere affrontati secondo due principali indirizzi operativi:
a. Scelta di metodi di lavorazione che evitino o riducano il ribaltamento di orizzonti del suolo;
b. Effettuazione, nelle zone in pendio, di lavorazioni più o meno localizzate, secondo le curve di livello o, comunque, accompagnate da opportune opere di sistemazione superficiale del suolo.
Tecniche che evitano il completo rimescolamento del terreno
Lo scasso può essere effettuato con attrezzature che evitino il rimescolamento degli orizzonti e che, pertanto, mantengano in superficie la sostanza organica e conservino meglio le proprietà nutritive del suolo. Esistono numerosi tipi di “ripper” (ripuntatori e scarificatori) che possono lavorare efficacemente nelle più diverse condizioni pedologiche. Seguiranno arature poco profonde o discature per lo sminuzzamento del terreno in superficie.
Cure colturali
In seguito all’impianto, si rendono necessari il diserbo, il controllo dell’eventuale vegetazione arbustiva e le lavorazioni di coltivazione del suolo (erpicature, sarchiature, zappettature, ecc.) che, talora, assumono la stessa funzione del diserbo e possono coincidere operativamente con esso.
Le cure colturali, attraverso l’eliminazione della flora infestante, favoriscono l’attecchimento e lo sviluppo iniziale dei semenzali, poiché riducono i rischi di:
a. Soffocamento delle piantine;
b. Competizione per l’acqua, elementi nutritivi e luce;
c. Allelopatie;
d. Diffusione di funghi, insetti nocivi e roditori;
e. Diffusione d’incendi nei periodi siccitosi.
Inoltre, possono migliorare l’areazione e l’accumulo idrico nel suolo e, soprattutto ridurre l’evaporazione nei terreni di natura argillosa soggetti a formare crepacci.
Intensità, frequenza e durata negli anni delle cure colturali, pur essendo condizionate da fattori economici ed operativi, dipendono soprattutto, almeno in linea teorica, dal tipo di vegetazione e dal suo grado di sviluppo.
L’importanza delle cure colturali è stata sottolineata, in modo particolare, per l’ambiente mediterraneo e, in generale, per tutte le situazioni in cui il bilancio precipitazioni/evapotraspirazione è deficitario e ovunque esistono forti problemi di competenza idrica. In queste condizioni, si è osservato che l’eliminazione della vegetazione erbacea ed arbustiva, riducendo la traspirazione, determina condizioni di umidità del suolo più favorevoli nei periodi siccitosi. La migliore disponibilità idrica si riflette positivamente su numerosi fattori di sviluppo della pianta (germogli, foglie, ricacci, radici, legno autunnale, ecc.), favorisce l’assorbimento (acqua ed elementi nutritivi) attraverso lo sviluppo iniziale degli apparati radicali e, indirettamente, aumenta la disponibilità e la circolazione degli elementi nutritivi, la mineralizzazione della sostanza organica e la fissazione simbiotica dell’azoto. Si è anche osservato che le lavorazioni secondarie del terreno e la fertilizzazione possono contribuire significativamente all’accrescimento nei primi anni dall’impianto solo dopo aver rimossa efficacemente la vegetazione infestante. Complessivamente, le cure colturali possono tradursi in un aumento di valore del soprassuolo sia per effetto dei maggiori accrescimenti (soprattutto in diametro) sia per la conseguente possibilità di ridurre la durata dei turni.
Rischi di degradazione del suolo
Le cure colturali possono accelerare alcuni fenomeni di degradazione del suolo quali il ruscellamento, l’erosione, i processi di costipamento successivi alle lavorazioni, la perdita di elementi nutritivi per dilavamento o per altre cause.
L’eliminazione della copertura e la lavorazione superficiale del suolo può instaurare, durante la stagione piovosa, fenomeni erosivi. Il passaggio delle macchine nell’interfila e l’eccessivo sminuzzamento degli orizzonti superficiali del suolo provocano più o meno gravi fenomeni di costipamento. Inoltre, la riduzione dei processi di assorbimento, traslocazione e riciclo degli elementi nutritivi, nell’ambito della copertura erbacea ed arbustiva, può favorire la dispersione e il dilavamento delle riserve nutritive del suolo.
Indirizzi operativi
Questi inconvenienti possono essere evitati o, quantomeno, attenuati adottando i seguenti accorgimenti:
a. Scelta di macchine e di attrezzature appropriate;
b. Scelta oculata dei tempi e delle modalità operative;
c. Impiego di tecniche colturali alternative.
Scelta delle macchine
Essa dipende dalle specifiche condizioni stazionali e dal sistema di preparazione del terreno adottato. Nel caso in cui il decespugliamento iniziale non abbia rimosso le ceppaie e sia presente una consistente copertura arbustiva, è necessario utilizzare macchine che si limitino allo sfalcio e alla triturazione.
Queste tecniche non sopprimono completamente la vegetazione infestante e, pertanto, riducono solo temporaneamente i rischi d’incendio e di competizione idrica e nutritiva. Peraltro, la permanenza della copertura vegetale e degli apparati radicali delle specie arbustive favorisce l’infiltrazione idrica, fungendo da parziale protezione contro il ruscellamento e l’erosione e allontanando il rischio di movimenti superficiali del suolo.
Quando il suolo è libero da ostacoli (ceppaie, apparati radicali, affioramenti rocciosi e pietre), si può intervenire con attrezzi rotativi, con erpici a denti o a dischi pesanti: la scelta dipende dalle specifiche condizioni morfologiche e pedologiche. Alcuni tipi di erpici sono in grado di lavorare anche in condizioni pedologiche piuttosto difficili. Gli erpici, oltre a estirpare la vegetazione e a rimescolarla col suolo, creano una superficie piuttosto rugosa e, almeno inizialmente, più favorevole all’infiltrazione dell’acqua e meno sensibile alruscellamento e all’erosione.
Scelta delle modalità operative e dei tempi
Di rilevante importanza è anche la scelta delle modalità operative e dei tempi di esecuzione dei lavori. Una prima decisione riguarda l’opportunità o meno di estendere l’intervento su tutta la superficie o, piuttosto, di localizzarlo lungo le file o nei pressi della piantina. Tale decisione dipende dalle condizioni pedoclimatiche e dai rischi di degradazione del suolo presenti nell’ambiente in cui si opera. Nei climi con sufficienti precipitazioni durante il periodo vegetativo (primavera ed estate) e con pochi problemi di competizione idrica, si può mantenere la copertura erbacea spontanea su tutta la superficie o almeno, applicando lavorazioni localizzate, negli interfilari. In questo modo si riducono i rischi di erosione e di dilavamento, preservando i processi di assorbimento, traslocazione e riciclo degli elementi nutritivi.
Nei terreni in pendio, sensibili all’erosione, è importante mantenere una copertura durante le stagioni piovose: l’immagazzinamento idrico può essere allora assicurato da lavorazioni preparatorie e, conseguentemente, di coltivazione secondo le curve di livello. Solo in presenza di suoli argillosi e in assenza di rischi di erosione, le cure colturali possono essere effettuate secondo la massima pendenza.
Nelle superfici pianeggianti non esistono restrizioni, sebbene sia sempre doveroso individuare la macchina e la tecnica di lavoro più appropriata. È noto che le cure colturali incrociate aumentano i tempi di lavoro: esse, infatti, obbligano a ripassare una seconda volta su più del 60{cefdd079d2b4def752f47ff57eb6cfbaf3c430da6092d7d4160b51fc1a9b7a8d} della superficie e, nello stesso tempo, rischiano di fallire in parte l’obbiettivo se non vengono integrate da lavorazioni localizzate intorno alla piantina.
Tecniche colturali alternative
Sia in campo agronomico che forestale, per ovviare agli inconvenienti di un’eccessiva meccanizzazione, si è cercato di mettere a punto tecniche che riducessero la necessità di lavorazioni superficiali secondarie.
Contemporaneamente ci si è orientati verso soluzioni che contenessero i costi di lavoro e ne migliorassero l’organizzazione.
Una possibilità d’intervento che non pone interrogativi ambientali e che tende ad accrescere l’efficienza biologica dell’ecosistema è costituita dall’inerbimento artificiale. Infatti, così come in campo agronomico si è dimostrato che il cotico erboso preserva il suolo da gravi fenomeni di degradazione, anche nel settore forestale è stato verificato che la copertura erbacea assume una funzione determinante nel controllo del ruscellamento e dell’erosione superficiale.
La copertura vegetale costituisce sempre un potenziale competitore per le piante forestali introdotte ma anche un mezzo per conservare le risorse nutritive del suolo e ridurre le perdite di elementi per dilavamento. In ambienti con pochi problemi di deficit idrico e con scarso rischio di competizione nei confronti degli elementi nutritivi e di altri fattori di crescita, l’inerbimento produce effetti paragonabili a quelli già indicati a proposito del mantenimento di una copertura vegetale spontanea. Oltre a proteggere il suolo da ruscellamento ed erosione, esso può anche contrastare efficacemente la crescita di specie indesiderate. Infine, utilizzando leguminose con capacità N-fissatrice, si possono migliorare le condizioni nutritive. In ambiente mediterraneo si è però osservato che, soprattutto se lo sviluppo della vegetazione erbacea precede la messa a dimora dei semenzali, la sua competizione può causare il fallimento dell’impianto.